Bonus Psicologico

Il bonus psicologico è un contributo fornito dallo Stato per far fronte alle spese relative alla Psicoterapia. Lo Stato tenta di rispondere così alla crescente esigenza di benessere psicologico della popolazione.

Questo contributo potrà essere speso per pagare la psicoterapia presso terapeuti privati e sarà erogato a chi è in condizioni di depressione, ansia, stress, fragilità emotiva.

E’ possibile farne richiesta presentando domanda telematica sul sito dell’INPS, accedendo tramite SPID, CIE o CNS.

L’importo verrà erogato ai cittadini aventi reddito ISEE inferiore a 50.000 euro.

In particolare: con un reddito inferiore 15.000 euro fino a 50 euro a seduta per un massimo di 600 euro; con un reddito compreso fra i 15.000 e i 30.000 euro fino a 50 euro a seduta per un massimo di 400 euro; con un reddito compreso fra i 30.000 e i 50.000 euro fino a 50 euro a seduta per un massimo di 200 euro.

Questo l’articolo pubblicato sul sito dell’INPS: https://www.inps.it/news/bonus-psicologo-2022-istruzioni-per-la-domanda?fbclid=IwAR14q-pZfy7tQux_A1HybTHFuZrCYZyobQ0-QQoFgR6y9Xub_70M79UjYBk

Ogni settimana sul sito dell’INPS verrà aggiornato l’elenco degli psicoterapeuti aderenti all’iniziativa.

Troverete il mio nominativo.

Per ulteriori informazioni potete contattarmi al numero 349/7622847 o via mail manuelamarletta@hotmail.it

Quanto dura la Psicoterapia?

All’inizio di un percorso di terapia, di solito una delle prime domande che viene fatta al terapeuta è: “Quanto tempo durerà la mia terapia?”.

Il timore che si legge sotto traccia è quello di intraprendere un percorso che durerà anni e anni, da cui non sarà possibile/facile affrancarsi. Il paragone che mi viene in mente è la terapia come droga, un qualcosa che crea dipendenza, per cui se si inizia non si potrà più smettere. Naturalmente non è così.

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Tuttavia, è necessario fare chiarezza sulle diverse sfaccettature della questione.

È vero, infatti, che quando si parla di Psicoterapia non sempre è possibile definirne a priori la durata.

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Per Psicoterapia si intende l’attività rivolta alla “risoluzione dei sintomi, e delle loro cause, conseguenti a psicopatologia, disadattamento, sofferenza” (cit. Atti tipici della Professione dello Psicologo, Roma, Giugno 2015). 

Essendo così specifico e delicato l’oggetto del lavoro dello psicoterapeuta, penso sia chiaro come stabilire a priori quanto tempo si possa impiegare a portare la persona ad una condizione di maggiore benessere o di più consapevolezza non sia un’impresa fattibile, o meglio, mi viene da dire, onesta.

Questo è diverso dall’affermare che la terapia dovrà durare vita natural durante.

In che modo allora il paziente e il terapeuta sapranno quando il loro lavoro insieme è terminato? Secondo Berne, analista transazionale, la condizione ideale da raggiungere è l’autonomia. “L’autonomia si conquista quando si liberano o si recuperano tre capacità: consapevolezza, spontaneità e intimità” (Eric Berne, A che gioco giochiamo, cap. 16/17).

Percorsi di terapia in cui la durata viene decisa in sede di primo colloquio potrebbero essere quelli di terapia breve o di terapia mirata ad un obiettivo specifico. Si tratta di casistiche particolari, in cui conditio sine qua non è l’accordo fra terapeuta e clienteOrologio.feature

Infatti, in una terapia breve i due si accordano su un contratto terapeutico, necessario a definire un obiettivo realizzabile, chiaro e specifico. Solo in seguito, si potrà stabilire un numero di incontri (ad esempio tali da coprire l’arco temporale di 6 mesi circa), in cui si lavorerà congiuntamente per il raggiungimento dell’obiettivo.

Altra opzione quella della terapia mirata. Questa può essere articolata anche in un numero inferiore di incontri, in cui si cercherà di mettere a fuoco dei punti su cui si vuol fare chiarezza: ad esempio, la motivazione allo studio oppure la scelta di un percorso universitario o lavorativo, una consulenza sportiva, ecc.

In conclusione, vorrei ricordare qualcosa che, a mio avviso, è molto importante: in qualsiasi situazione ci si trovi (psicoterapia, terapia breve, mirata, ecc.) è sempre opportuno fermarsi a fare il punto della situazione e cambiare rotta se quella intrapresa non la si sente andar bene per sé. Così si potrà cambiare obiettivo, sceglierne uno più adatto oppure si potrà interrompere la terapia o, una volta interrotta, si potrà riprendere.

Le possibilità sono molteplici, da esplorare e valutare secondo le proprie necessità e desideri.

Responsabilità congiunta della cura

La Responsabilità congiunta fra terapeuta e paziente è il tema della #PillolaDiPsicologia di questa settimana.

L’analista transazionale si pone su un piano di parità con i suoi pazienti e insieme si struttura il percorso di cura e di cambiamento. 
#ResponsabilitàCongiunta #AnalisiTransazionale #Psicoterapia

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Ansia da esame

Esami in vista? Manca poco e sale l’ansia?

Cos’è l’ansia da esame e cosa si può fare per presentarsi poi agli esami più rilassati e consapevoli?

Dell’ansia ne ho parlato qui Che ansia!

L’ansia d’esame è un forma di ansia da prestazione (sì, la stessa che talvolta si prova prima di un rapporto sessuale!). La mente è invasa da pensieri come:

“non supererò l’esame”;

“non sono preparato, ho studiato poco, dovevo fare di più”;

“farò una cattiva figura davanti a tutti”;

“non riuscirò mai a finire gli esami”;

“tutti ce la fanno ad andare avanti tranne me”;

“sono stupido”.

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Questi pensieri affollano la mente, bloccandola. In questo modo, non ci si permette di accedere alle conoscenze acquisite durante le ore di studio, compromettendo il risultato dell’esame. C’è chi fa scena muta, altri ancora che non si presentano all’appello. Queste strategie di evitamento consentono di allontanare l’ansia e recuperare un margine di tranquillità. Il prezzo pagato è l’esame stesso e la stima in sé: il “non sono capace” cresce a dismisura, innescando un circolo vizioso in cui gli insuccessi accrescono l’ansia d’esame.

Il punto sta nel comprendere come mai non ci si dà il permesso di farsi forti di ciò che si appreso nelle innumerevoli ore di studio. I motivi possono essere diversi e legati alla storia personale: scarsa autostima, richieste eccessive fatte al sé, tendenza al “sii perfetto”, svalutazione delle proprie capacità, pensieri di fallimento, iperinvestimento dell’esame e di ciò che significa, ecc.

Tra i sintomi troviamo quelli tipici dell’ansia, come la tachicardia, l’aumento del respiro e della sudorazione, aumento della tensione muscolare, nausea, mancanza di concentrazione, agitazione, ecc.

A questi può aggiungersi il negative self talk, cioè uno stato di negatività, in cui si sperimenta la sensazione di non valere nulla, non essere capace.

Oltre questo, l’ansia da esame può provocare problemi nell’esposizione di ciò che si è studiato, paure ingiustificate, un’errata percezione delle conoscenze acquisite.

ansia-da-esame-1 E allora cosa fare?

Alcuni suggerimenti per affrontare al meglio l’ansia d’esame possono essere:

  1. Dormire di più. Potrebbe sembrare contro produttivo, al contrario, riposare è utile a non sovraccaricare la mente, rendendola più fresca e sveglia. Ore passate sui libri e tolte al sonno aumentano l’attivazione fisiologica, rendono necessaria più caffeina ed energy drink (anche questi eccitanti).

  2. Tecniche di rilassamento: chiudere gli occhi, concentrarsi sulla respirazione, rilassare i muscoli di gambe, braccia e stomaco, ecc.

  3. Strategie di studio efficace: alcuni trovano efficace fare degli schemi riassuntivi o mappe concettuali, altri preferiscono studiare in compagnia di un collega o organizzare veri e propri gruppi di studio, altri ancora si adoperano in simulazioni d’esame.

  4. Programmare le ore di studio e darsi obiettivi giornalieri.

Oltre ad essi, può essere efficace intraprendere un percorso di psicoterapia focalizzato ad individuare le origini dell’ansia, ad aumentare l’autostima e la reale visione del sé.

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Cosa conosci di te stesso?

“Ogni volta che mi accingo a parlare di me, vengo colto però da una leggera confusione.

A mettermi in difficoltà è il classico paradosso che si racchiude nella domanda «Chi sono io?». Ovviamente, dal punto di vista della quantità di informazioni sull’argomento, non esiste al mondo nessuno che possa saperne su di me più di me stesso. Ma quando io mi trovo a parlare di me, è inevitabile che il mio io narrato sia filtrato, manipolato, censurato dal mio io narrante, dalla sua scala di valori, dalla sua sensibilità, dal suo spirito di osservazione, nonché da una serie di interessi concreti. Perciò, che grado di verità oggettiva possiederà mai questo io che si racconta da sé?

È un problema, questo, che mi sta molto a cuore. Che mi è sempre stato a cuore, fin da quando ho memoria. Sembra però che la maggior parte della gente non abbia questa preoccupazione. Le persone, se ne hanno l’occasione, parlano di sé usando espressioni di una franchezza sorprendente, del tipo: «Io sono uno talmente sincero e aperto da rendermi ridicolo», «Io sono troppo sensibile per trovarmi bene in un mondo come questo», «Io sono bravo a leggere nel cuore degli uomini». Ma mi è capitato molte volte di vedere persone «troppo sensibili» ferire gli altri senza alcuna necessità. E ho visto anche persone «sincere e aperte» usare la logica per imporre i propri interessi, senza neanche esserne consapevoli. Ho visto infine persone «brave a leggere nel cuore degli uomini» lasciarsi ingannare senza sforzo da adulatori visibilmente insinceri.

A questo punto mi sembra naturale chiedersi che cosa ognuno di noi alla fin fine conosca di se stesso”.

La ragazza dello Sputnik” – H. Murakami

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Les Amants – Magritte 

Ritrovare la motivazione per raggiungere le mete

“Molti uomini hanno vita di quieta disperazione:

non vi rassegnate a questo, ribellatevi,

non affogate nella pigrizia mentale, guardatevi intorno.

Osate cambiare, cercate nuove strade”.

H. D. Thoreau

Gennaio è (quasi per definizione) il mese dei buoni propositi. Lo dice anche il detto: “Anno nuovo, vita nuova”. È così ci sediamo, prendiamo carta e penna e buttiamo giù la lista delle cose che quest’anno si devono realizzare: ad esempio, iscriversi in palestra; smettere di ricadere in quel particolare comportamento che fa star tanto male; dedicarsi finalmente a quel tanto desiderato hobby per cui non c’è mai tempo; raggiungere quell’obiettivo lì inseguito da tempo (la laurea, una promozione a lavoro, una materia particolarmente impegnativa…); prendersi cura di se stessi, ecc.

A Febbraio qualcuno ha già smesso di pensare a tutti i buoni propositi, qualcun altro riesce ad arrivare a Marzo, i più tenaci magari si spingono fino ad Aprile…

Forse l’errore sta nel pensare di dover resistere finché le cose desiderate non sopraggiungano da sé!

In questo modo la responsabilità è spostata ed è affidata alla fortuna, al caso, agli altri, cioè a qualsiasi cosa tranne che a se stessi.

Non è Gennaio a permettere la realizzazione dei desideri più profondi, ma siamo noi stessi e l’impegno che ci mettiamo. Dunque, il primo passo è quello di riconoscere la propria responsabilità nel cambiamento.

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Il secondo passo è modificare il modo di porsi, adottare nuovi schemi di pensiero e di comportamento. Se quel particolare modo non è stato funzionale finora, allora è possibile trovarne un altro più adatto.

Non è necessario far tutto da soli, è possibile farsi aiutare in questo. Noi abbiamo pensato proprio per questo particolare periodo dell’anno di proporvi un percorso in 8 incontri, mirati a cambiare gli schemi che non vanno più bene, ritrovando la motivazione per raggiungere i propri obiettivi.

Contattateci per saperne di più!

Manuela - Gennaio 2016