L’arte di amare

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Troppo spesso sentiamo storie di violenza sia fisica che psicologica e, senza andare troppo sul patologico, storie di rapporti di coppia di facciata, di chi si accontenta di una relazione che non lo soddisfa per… beh, le scuse che ci diamo sono tante: “c’è di peggio” oppure “alla fine mi rispetta” o ancora “è comunque una brava ragazza” o “a me tanto non importa” e tante altre di queste se ne potrebbero aggiungere.

E’ vero che in una relazione ad essere coinvolti sono davvero molteplici i fattori, tanti dei quali appartengono alla sfera più intima ed arcaica di noi stessi.

Ma cosa significa amare? Esiste un’arte in questo? Nel 1957 Eric Fromm, psicoanalista e sociologo tedesco, pubblicò “L’Arte di Amare”, un testo che contiene, secondo me, tanti spunti di riflessione.

L’arte di amare non si propone come un manuale, ma “vuole convincere il lettore che ogni tentativo d’amare è destinato a fallire se non si cerca di sviluppare più attivamente la propria personalità; che la soddisfazione, nell’amore individuale, non può essere raggiunta senza la capacità di amare il prossimo con umiltà, fede e coraggio.”  Ve ne propongo qui un estratto, in cui l’Autore mette a confronto due forme d’amore: l’amore simbiotico e quello maturo.

“Ciò che conta è sapere a quale sorta di unione alludiamo, parlando d’amore. Ci riferiamo all’amore come alla matura soluzione del problema dell’esistenza, oppure alludiamo a quelle incomplete forme di amore che possono chiamarsi unioni simbiotiche? […]

L’unione simbiotica ha il suo modello biologico nella relazione tra madre e feto. Sono due, eppure uno. Vivono insieme (simbiosi), hanno bisogno l’uno dell’altro. Il feto è parte della madre, riceve tutto ciò di cui ha bisogno da lei; la madre è il suo mondo; lei lo nutre, lo protegge, ma anche la sua vita è intensificata da esso. Nell’unione simbiotica fisica, i corpi sono indipendenti, ma lo stesso genere d’unione esiste psicologicamente. […]

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In contrasto, con l’unione simbiotica, l’amore maturo è unione a condizione di preservare la propria integrità, la propria individualità. Sembra un paradosso, ma nell’amore due esseri diventano uno, e tuttavia restano due. […]

L’amore è un sentimento attivo, non passivo; è una conquista, non una resa. Il suo carattere attivo può essere sintetizzato nel concetto che amore è soprattutto “dare” e non ricevere. […] Dare è la più alta espressione di potenza. Nello stesso atto di dare, io provo la mia forza, la mia ricchezza, il mio potere. Questa sensazione di vitalità e potenza mi riempie di gioia. Mi sento traboccante di vita e felicità. Dare dà più gioia che ricevere, non perchè è privazione, ma perchè in quell’atto mi sento vivo. […]

Che cosa dà una persona ad un’altra? Dà se stessa, ciò che possiede di più prezioso, dà una parte della sua vita. Ciò non significa necessariamente che essa sacrifichi la sua vita per l’altra, ma che le dà ciò che di più vivo ha in sè; le dà la propria gioia, il proprio interesse, il proprio umorismo, la propria tristezza, tutte le espressioni e manifestazioni di ciò che ha di più vitale. In questo dono di se stessa, essa arricchisce l’altra persona, sublima il senso di vivere dell’altro, sublimando il proprio. […]

Dare significa fare anche dell’altra persona un essere che dà, ed entrambi dividono la gioia di sentirsi vivi. Nell’atto di dare nasce qualcosa, e un senso di mutua gratitudine per la vita che è nata in loro unisce entrambe. Ciò significa che l’amore è una forza che produce amore; l’impotenza è l’incapacità di produrre amore.

Al di là dell’elemento del dare, il carattere attivo dell’amore diviene evidente nel fatto che si fonda sempre su certi elementi comuni a tutte le forme d’amore. Questi sono: la premura, la responsabilità, il rispetto e la conoscenza.”

[E. Fromm, L’arte d’amare, Il Saggiatore. Milano, 1963]

Sessualità e disfunzioni sessuali

sessualità - henri de toulouse-lautrec in bed the kiss

Oggi si parla tanto di sesso, ma poco di sessualità, dove con il primo termine si intende l’atto sessuale in sè, mentre con il secondo ci si riferisce agli aspetti psicologici, sociali e culturali legati all’attività sessuale.

Sembra scontato, ma in realtà gli studi legati alla sessualità sono molto recenti e tutt’oggi sembra sia ancora un tema difficile da affrontare, quasi un tabù. Alla fine dell’800 uno psichiatra collegò per la prima volta alcune patologie sessuali a dei disturbi psichiatrici. Dopodicchè fu solo nel 1953 che Kinsey, biologo presso l’Università dell’Indiana, pubblicò un particolareggiato rapporto sulle abitudini sessuali di 17.000 fra uomini e donne americani. Grazie a questa ricerca si scoprì che esistono più orientamenti sessuali (fino a quel momento l’unico orientamento socialmente pensabile era quello eterosessuale); inoltre, furono raccolti dati sul comportamento sessuale coniugale ed extraconiugale, sulla masturbazione, sul sadomasochismo, ecc.

Tornando al nostro incipit, “oggi si parla tanto di sesso, ma poco di sessualità”, questo risulta vero nella misura in cui a questo argomento sono collegati sentimenti come la vergogna, il senso di colpa, il pudore, la tristezza o la rabbia, a cui magari si aggiunge il bagaglio religioso.

Così, se esiste una difficoltà sessuale all’interno della coppia è frequente che venga messa da parte, negandola per questi sentimenti o anche per paura che questa possa essere sintomo di un problema nel rapporto di coppia stesso.

La verità è che attraverso il corpo emerge il nostro mondo emotivo ed affettivo interiore e questo nella sessualità assume non più un aspetto individuale, ma duale, in cui ci si confronta sia con se stessi che con il partner e con i suoi vissuti.

I problemi attinenti la sfera sessuale vengono definiti con il termine “Disfunzioni sessuali”, distinte in psicogene, organiche o entrambe. Da recenti ricerche sono le disfunzioni psicogene ad essere di gran lunga più frequenti, circa 3 persone su 4 ne ha fatto esperienza almeno una volta nella vita.

Nel caso delle disfunzioni sessuali psicogene è presente un desiderio sessuale anomalo o modificazioni psicofisiologiche legate all’attività sessuale, il che porta un disagio sia nella persona che sperimenta il problema sia nella coppia. Esse sono suddivise in disturbi del desiderio sessuale (desiderio ipoattivo o avversione sessuale), disturbi dell’eccitazione (maschile e femminile), disturbi dell’orgasmo (anorgasmia, eiaculazione precoce), disturbi da dolore sessuale (vaginismo, dispaneuria).

Cosa è possibile fare se ci si rende conto di soffrire di un disturbo sessuale?

Innanzitutto, è importante comprendere che si può affrontare l’argomento e cominciare dunque a parlarne.

Poi, è necessario escludere la componente medica con una visita andrologica per l’uomo, ginecologica per la donna.

Dopodicchè, se lì non emerge nulla, bisogna riflettere sulla necessità di mettersi in ascolto del proprio corpo e dei segnali che ci sta lanciando, considerando i limiti che ci imponiamo e dandoci la possibilità di rileggere i vissuti legati alla sessualità e a ciò che per noi rappresenta nella coppia.